Gabriella, ricercatrice italiana trasferita in Germania, ci racconta cosa ha significato per lei diventare mamma all’estero. Una storia di difficoltà linguistiche e di qualcosa che “manca”, ma soprattutto di risorse che si trovano e di ostacoli che si superano.

Come si vive la maternità in un paese straniero

Quando ho scoperto di essere incinta è stata un’emozione fortissima. Ero felicissima, piena di adrenalina e senza timori.
Poi sono sopraggiunti i primi commenti e le prime domande da amici o parenti.

“Ma adesso che sei incinta torni in Italia?”
“Ma come farai a partorire in un Paese straniero?”
“Vuoi partorire all’estero, senza la mamma?!?!?”

Tutte domande che non mi hanno insinuato nessun dubbio ai tempi; anzi, per essere sincera, mi hanno anche dato fastidio perché, nella mia beata ignoranza, pensavo che sarebbe stata una passeggiata: “Perché mai ora che avrò un figlio dovrei tornare in patria?! Mia cognata lo ha fatto, ma io mica sono come lei”.

La gravidanza all’estero, se si sa la lingua e si ha la fortuna, come me, di avere un marito autoctono (che aiuta nei mille documenti da compilare), è facilmente gestibile. Certo, i controlli e gli esami non sono gli stessi che in Italia e, in alcune cose, non puoi contare sulla condivisione con le tue amiche mamme. Loro prenderanno quel particolare preparato di oli o erbe che tu non sai come si chiama in tedesco e perderai ore a capire come tradurlo, loro avranno dei manuali bellissimi che tu dovrai comprare online, spendendo un sacco di spese di spedizione, loro andranno da quel massaggiatore, ostetrica o dottore bravissimo dove tu non potrai andare e dovrai cercartene qualcuno qui, andando un po’ alla cieca. E anche trovare un semplice “olio di mandorle dolci spremute a freddo” richiederà uno sforzo notevole…

Ma ce la si fa benissimo!

Il corso preparto ha messo a dura prova il mio tedesco e la mia stabilità mentale. Perché già sapevo a malapena in italiano cosa fossero il pavimento pelvico o il perineo, figuratevi quando me l’hanno detto la prima volta in tedesco… Sarò onesta, dopo i primi incontri pre-parto, ho avuto momenti di scoraggiamento: tornavo a casa e cercavo in google tutte le traduzioni e, ebbene sì, qualche lacrimuccia di sconsolazione mi é scappata. Avevo paura di non riuscire a prepararmi bene perché, effettivamente, certe cose si capiscono e metabolizzano meglio se vengono dette nella propria lingua madre. Ma poi ci ho fatto l’abitudine e, con l’aiuto dei mille consigli di amiche e sorella in whatsapp, di tanta forza di volontá e di tante letture, sono arrivata preparata anche io (per quel che si puó, per lo meno).

Ok parliamo del parto in sé. Anche quello per me é risultato fattibile. O meglio, difficoltoso e impegnativo esattamente come lo sarebbe stato in patria. Sará l’istinto, sarà l’adrenalina, sará che le mie ostetriche erano persone stupende, ma i miei timori sulle barriere linguistiche sono risultati infondati. In barba al mio tedesco maccheronico, in sala parto ci siamo capite alla perfezione!!

Il ritorno a casa, invece, é stato duro. Ebbene sí. Io, mio marito, mio figlio e il mio cane da soli, perchè, per par condicio, anche i miei suoceri abitano lontano.

La prima sera (a parte l’insonnia neogenitoriale, che non ha cittadinanza) é andata anche bene perché io ho sempre detto che avrei voluto tornare a casa senza avere parenti in giro a stressarmi; ma dopo ho cominciato a sentirmi sola e, anche ora che sono passate diverse settimane, per certi versi continuo a sentirmi così.
Certo, mia mamma é venuta per le prime due settimane (grazie al cielo) e mi ha aiutata nei momenti fisicamente e psicologicamente piú difficili. Ma anche dopo e tuttora sarebbe stato piú facile se non fossi all’estero.

Adesso il problema non è la lingua, ma la lontananza da affetti e amicizie. Se fossi in patria, potrei andare a prendere un caffé dall’amica di una vita e non con amiche acquisite nell’ultimo anno di lavoro che, tra l’altro, sono moooooolto più giovani di me (la fortuna di lavorare in ambiente universitario…). Le mie migliori amiche o mia sorella potrebbero venire a tenermi il pargolo mentre mi faccio la doccia o anche semplicemente a raccontarmi qualcosa durante le innumerevoli e infinite sedute di allattamento. Potrei condividere il tempo con amiche che si trovano nella mia stessa fase di vita, cosa che risulta difficile con ragazze molto più giovani e senza figli. Potrei fare attività con ragazze conosciute al corso preparto (ci ho provato anche qui ma le tedesche sono effettivamente più difficili da conquistare o forse hanno giá amiche a sufficienza.). Potrei partecipare agli incontri delle Rolling (!!!).

Insomma, in Italia potrei fare un sacco di cose, invece sono qui con la mia famigliola, lontana da tutti gli affetti e, nonostante tutti questi “potrei”, siamo felici (a volte di più a volte di meno) e cerchiamo di crescere il piccolo Antonio al nostro meglio. Sarà più faticoso, ma di sicuro ci sono anche aspetti positivi: ad esempio niente parenti invadenti a cinque minuti di macchina (!!!). Mi piace pensare che il mio carattere si rinforzerà ulteriormente e chissà, forse farò nuove amicizie; ma soprattutto è bello sapere che mio figlio crescerà in un ambiente sereno, multiculturale, con amici e parenti sia italiani che tedeschi, sarà bilingue (se non trilingue). E potrà vantarsi di essere “der Italiener”, l’Italiano, come é stato nominato già dopo poche ore di permanenza  in TIN (ndr Terapia intensiva neonatale) per sottolineare il suo bel caratterino deciso.

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Giorgia

Sono Giorgia, adoro i miei cani, il buon cibo, il mare, il sapere, Netflix, i viaggi itineranti e scrivere. Sono un vulcano di idee e progetti, ho sempre qualcosa di nuovo da conoscere e studiare, amo studiare quasi quanto amo gli stuzzichini dell'aperitivo. Ho qualche problema con l'agenda, ma non manco mai un appuntamento. Chi mi ama lo fa senza condizioni.

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