Nel pieno dell’estate non si parla d’altro che di vacanze. Chi è appena tornato, chi invece sta facendo il conto alla rovescia per quando partirà, che sia per qualche giorno o per un mese intero l’importante come diceva la mia nonna è… “cambiare aria”!

Io me le ricordo le vacanze di una volta, quelle che partivi con la macchina con su il portapacchi ed ogni viaggio era quasi un trasloco. Molti si trasferivano per un mese intero nelle case al mare, appena chiudevano le fabbriche. Lì i bambini potevano stare in spiaggia da mattina a sera, fatta salva la finestra delle tre ore dopo pranzo dove era severamente vietato fare il bagno “che altrimenti ti prendi una congestione” (sempre mia nonna n.d.r.).

Il cornetto Algida era solo quello classico e prima ti mangiavi rigorosamente la granella per poi affondare nel cuore di panna. In alternativa c’era il croccante, all’amarena, e per i più temerari il ghiacciolo all’anice quello azzurro, che era intinto nel colorante e che io detestavo, ma quando finivano gli altri gusti ti mangiavi pure quello.

Erano le estati della mia infanzia, dove in spiaggia c’era il jukeboxe e ci infilavi le monetine per scegliere la canzone e poi schiacciavi lettera e numero per selezionare il disco, in vinile, un 45 giri.

E’ proprio con il jukeboxe  nei mitici anni ’80  che trascorrevo le mie vacanze, Giuni Russo cantava “Un’estate al mare” e io non vedevo l’ora che la vacanza avesse inzio.

Vacanze anni ’80: stessa spiaggia stesso mare

Stessa spiaggia stesso mare, di anno in anno, un po’ come nei film dei fratelli Vanzina, ma tutto molto molto meno patinato. C’era mia nonna a rendere la situazione diciamo un po’ meno da film. Lei cucinava sempre. Non veniva mai in spiaggia, passava le sue giornate in cucina per tutta la vacanza e quell’odore di soffritto appena fatto non ti abbandonava mai. Si prevedevano pranzi abbondanti e intingoli untuosi anche con 40 gradi all’ombra, ma lei era la nonna, la matriarca, non c’era storia.

Chiaro che poi il rischio era quello di affondare come se avessi una pietra legata al collo, altro che congestione.

Finita la vacanza si rimpacchettava tutto, portapacchi compreso e si partiva per quello che allora veniva chiamato esodo (lo chiamano così anche ora, ma non sanno di cosa parlano).

Mai nome fu più azzeccato.

Nessuna partenza era sufficientemente intelligente, il bollino era nero fisso, code infinite si formavano sulle autostrade che qualche volta speravi quasi che ti intervistassero, per comparire al telegiornale delle 20 a testimoniare che tu ancora bambina avevi affrontato tale esperienza e ne eri uscita indenne. Magari avevi un po’ rotto le palle eh, perché pur sempre bambina eri.

Ma, anno dopo anno, la famiglia ripartiva compatta per le agognate ferie agostane, tentando una nuova partenza intelligente. E tu ancora un po’ bambina, sapevi già che quel viaggio sarebbe durato un giorno intero, ma alla fine avresti rivisto il mare. E ancora una volta sarebbe stato lo stesso, come da 13 estati a quella parte, ma del resto ti sembrava bello anche così.

Poi è stata la volta della prima cotta, una roba innocente, ma che creava quella strana sensazione tipo di farfalle nello stomaco, che un po’ forse era colpa della cotoletta impanata di nonna, ma forse un po’ no.

Lui era alto, bello, con i capelli lunghi e un costume un po’ ascellare. Quello che oggi definiresti un vero tamarro, ma che allora ti faceva battere il cuore. E ti facevi chilometri di spiaggia nella speranza di incontrarlo e quando delusa andavi al bar a prendere l’ennesimo cornetto Algida (che il cuore di panna, si sa, è consolatorio), compariva lui, sventolando la folta chioma intento a vincere l’ennesima partita a calcetto sulle note de “E la luna bussò” della mitica Loredana Bertè (sì, il baretto sulla spiaggia non investiva troppo nell’aggiornamento discografico). Sbam, sciolta insieme al cuore di panna.

Io le ricordo tutte quelle estati in cui da bambina ad un certo punto mi sono ritrovata una via di mezzo tra la donna e la scimmia, perché nel mentre le gambe si erano riempite di peli e la cera era solo quella che mia mamma passava sui pavimenti.

La meraviglia dei tredici anni, quelli di allora, quelli in cui eri ancora una ragazzina, ma un po’ eri ancora bambina. Però finalmente il tuo due pezzi serviva a contenere qualcosa e non solo i sassolini della spiaggia durante i tuffi con le onde. E tu non sapevi se questa cosa fosse un bene o un male. Ma per tuo padre era certamente male… malissimo!

Le prime uscite la sera, che tanto siamo al mare e si può fare, il paesino è un buco e ci si conosce tutti, e che culo, un po’ di privacy, che insomma vorrei poter fare le mie esperienze senza che lo sappia tutto il paese. La discoteca del campeggio sul mare ti sembrava una cosa così fica, che Ibiza levati. Con la palla con gli specchietti. E la speranza di incontrare lui, quello con la lunga chioma di cui sopra, che puntualmente si accompagnava ad una diversa ogni sera. Hai poi scoperto, qualche anno dopo, che in realtà era timido e riservato e in quel personaggio che si era creato forse ci stava pure stretto, ma sappiamo che l’adolescenza non è il periodo dove i nostri neuroni danno prova di performance troppo brillanti.

Le mie estati si sono susseguite così per alcuni anni, cambiavano solo le colonne sonore e i tormentoni estivi. Voi ve li ricordate i Righeira?

Oggi da allora è passata più o meno una vita. Qualcuno è ancora qui, qualcuno invece sta cucinando quintali di cotolette per gli angeli in questa calda estate, dove il tormentone ce lo canta Francesco Gabbani “E state. Lì dove siete, com’è che state? Ci state bene? E state” (Tra le granite e le granate cit.).

E io invece sono pronta a partire per il nostro nuovo viaggio. Dite che è colpa delle mie vacanze anni ’80 se oggi difficilmente torno per due volte nello stesso luogo e mia figlia ha il permesso di fare il bagno subito dopo pranzo? 😉

Buone vacanze ovunque voi abbiate deciso di trascorrerle.

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Giovanna

Giovanna alias Giò, amo viaggiare, scrivere, leggere, preparare dolci e mangiare cioccolato fondente. Ho anche una certa propensione ad accumulare scarpe, Quando mi appassiono ci metto l'anima, ma non cedo facilmente alle mode passeggere o alle lusinghe. La mia prima risposta e' sempre no, da buona bilancia amo ponderare tutti i pro e i contro almeno millemila volte. Chi mi ama lo fa per sempre.

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