Greenwashing è una parola di creazione relativamente recente che indica l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende o organizzazioni con lo scopo di crearsi un’immagine “ecologicamente” positiva. Un ente fa Greenwashing quando cerca di costruirsi un’immagine “green” tramite azioni di marketing, impiegando in questo maggiori risorse di quelle utilizzate per minimizzare davvero il proprio impatto ambientale.

Il termine deriva dal verbo to whitewash, che in senso proprio significa “imbiancare, dare la calce” ma che in senso figurato assume il significato di “coprire, nascondere”; il greenwashing fa la stessa cosa, ma nell’ambito dell’ecologia. In italiano, potremmo rendere l’espressione come “dare una mano di verde”, simbolicamente parlando.

L’espressione venne utilizzata inizialmente dall’ambientalista Jay Westerveld in un saggio del 1986 nel quale accusava alcune catene alberghiere di camuffare per ecologismo la pratica di invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà tale invito era mosso soprattutto da ragioni di tipo economico. La pratica del greenwashing si è poi intensificata negli anni ‘90, in modo direttamente proporzionale al di pari passo con l’accresciuta attenzione dei consumatori verso la tutela dell’ambiente che ha cominciato a influire sulle decisioni di acquisto e consumo delle masse.

Greenwashing e cosmetici

E cosa c’entra il greenwashing con i cosmetici? Ecco, pensate a quanto si è accresciuta negli ultimi anni l’attenzione per il bio e per l’eco in cosmetica, era inevitabile che il mondo della bellezza venisse investito dal fenomeno del greenwashing. Una grande quantità di prodotti cosmetici vengono infatti commercializzati come naturali ed ecosostenibili quando, in realtà, la loro composizione è tutt’altro che ecobio.

Partiamo dal presupposto che la lista degli ingredienti non può mentire senza che l’azienda sia passibile di denuncia e sanzione. E allora su cosa si basa il greenwashing in cosmetica?

“Packaging, colori, parole chiave fuorvianti come ‘bio’ e persino l’ordine con cui vengono nominati gli ingredienti, tutto ciò contribuisce a ingannare il consumatore, approfittando del fatto che la sua domanda di ‘naturalità’ è sempre più forte, anche nel settore della cosmesi.”

Questo ha dichiarato Francesca Morgante, manager di Natrue, l’Associazione Internazionale per la Cosmesi Naturale e Biologica, durante un convegno tenutosi a settembre a Expo. Confezioni verdi, disegni di alberi e foglie o il termine “Bio” nel nome del brand non sono in alcun modo indice di naturalità del prodotto.

Che fare quindi?
Facciamo nostro l’invito di getcleangirls.wordpress.com con il suo acronimo DIG (in italiano, scavare)

Disregard the packaging
Inventory the promises
Go to the back

Ignorate il packaging, fate una lista delle promesse che il brand vi fa e andate a leggere sul retro. Il consiglio più importante è infatti di leggere sempre molto attentamente la lista degli ingredienti, facendo attenzione anche all’ordine in cui sono inseriti.

Ma anche questo talvolta non basta, infatti uno stesso ingrediente può essere lavorato in maniera diversa ed essere, quindi, più o meno ecocompatibile o biologico. Una via possibile sarebbe una certificazione che attesti la naturalità degli ingredienti ed anche la loro origine. Purtroppo, attualmente il panorama delle certificazioni è molto variegato, troppo e ancora non totalmente regolamentato; non offre, quindi, uno strumento univoco di scelta consapevole per il consumatore.

Nell’attesa di una normativa sulle certificazioni, non ci resta che continuare ad informarci e a “scavare”.

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Giorgia

Sono Giorgia, adoro i miei cani, il buon cibo, il mare, il sapere, Netflix, i viaggi itineranti e scrivere. Sono un vulcano di idee e progetti, ho sempre qualcosa di nuovo da conoscere e studiare, amo studiare quasi quanto amo gli stuzzichini dell'aperitivo. Ho qualche problema con l'agenda, ma non manco mai un appuntamento. Chi mi ama lo fa senza condizioni.

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